Da Calvino a Stevenson: la dualità dell’essere umano
“l’uomo è consapevole della legge morale,
ed ha tuttavia adottato per massima di allontanarsi (occasionalmente) da questa legge”
La dicotomia bene-male racchiude molte sfere, da quella religiosa a quella culturale, fino alla sfera strettamente antropologica. In questo saggio ci occuperemo, nello specifico, di quest’ultima sfera: l’uomo è naturalmente malvagio o la sua malvagità ha origine successivamente? L'essere umano reca in sé un lato buono e un lato cattivo, che si manifesta più o meno a seconda dell’individuo? In un’epoca in cui le notizie su delitti efferati, episodi di violenza fra individui e fra gruppi umani, fanno ormai parte della nostra routine, questa domanda risuona spesso nella nostra mente, è impossibile negarlo. La citazione della nostra epigrafe rappresenta una delle risposte alla suddetta domanda ed è la risposta del famoso filosofo tedesco Immanuel Kant il quale sostiene che l’uomo è naturalmente portato ad allontanarsi dalla legge di natura: solo l’adesione a un forte imperativo morale di valenza universale può condurlo ad agire razionalmente. Diversa è l’opinione di un altro filosofo, il ginevrino Jean-Jacques Rousseau che sostiene, contrariamente al filosofo tedesco, che l’uomo sia nato buono:
Rousseau vedeva una divaricazione sostanziale tra la società e la natura umana. Rousseau affermava che l'uomo fosse, in natura, buono, un "buon selvaggio", e venisse corrotto in seguito dalla società; vedeva questa come un prodotto artificiale nocivo per il benessere degli individui.
Chi avrà dunque ragione? Col gruppo di lettura di cui sono membro ci siamo soffermati su due pilastri della letteratura che possono aiutarci a rispondere a questa domanda problematica.
Già a partire dal XIX secolo, infatti, il problema della condizione dell’uomo come essere formato dalla dicotomia buono-cattivo è un tema centrale. Nel 1886 è in stampa Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde, opera di Stevenson, autore inglese nato ad Edimburgo. Il racconto narra la disgrazia che si abbatte sul dottor Jekyll, dottore e scienziato noto per le sue capacità e bontà d’animo, dopo un suo esperimento, anche troppo riuscito (secondo il parere dell’autrice di questo articolo), che gli permette di scindere la sua natura nobile da quella ignobile tanto da fargli mutare non solo carattere ma anche la personalità emotiva e fisica: il dottor Jekyll diventa così il signor Hyde. Il testo si conclude col suicidio di Hyde e la scoperta della verità dell’avvocato Utterson leggendo il testamento di Jeckyll.Un altro testo che ha al centro la suddetta dicotomia uscì per la prima volta nel 1952 e si tratta del Visconte dimezzato, opera dello scrittore italiano Italo Calvino. La trama sembra semplice ma nel suo insieme risulta essere complessa e intrigante. Il Visconte Medardo affronta le atrocità della guerra e ne resta irrimediabilmente ferito. Infatti, una palla di cannone divide esattamente a metà il corpo del protagonista: egli torna in patria con solo la metà sinistra del suo corpo integra (la destra sembrerebbe essere dispersa). Questa condizione sembra avere alterato non solo fisicamente ma anche emotivamente il Visconte, che sembra essere diventato un uomo feroce e senza cuore. Gli avvenimenti prendono una piega inaspettata quando riappare la parte destra del corpo del Visconte, anch'essa emotivamente cambiata: il suo carattere è esageratamente buono. La storia si conclude in maniera positiva in quanto i concittadini e i familiari, esasperati dai comportamenti di entrambe le parti, riescono a ricongiungere le due parti del Visconte facendolo tornare come prima.
Nonostante i diversi anni che intercorrono tra un’opera e l’altra, notiamo diverse similitudini fra i due scritti: in entrambe le opere la parte malvagia viene descritta come ignobile o, per usare una citazione di Stevenson, “il male incarnato”; si diverte delle sventure altrui (sadismo) ed è indifferente al prossimo (alessitimia). La parte buona, invece, sembra spaesata e spaventata, nel caso del dottor Jeckyll anche intimorita dalla sua controparte malvagia. In entrambe le opere, però, la conclusione è la medesima: un uomo può essere quel che è soltanto grazie all’unione delle due parti, buona e malvagia. La divisione delle due parti porta a terribili conseguenze, non solo per il soggetto specifico, quanto anche per chi gli sta intorno, come sottolinea anche Calvino nel momento in cui entrambe le parti del Visconte erano esasperatamente buona o cattiva (un problema aggiuntivo era anche quello di doverle riconoscere). I due autori si allontanano definitivamente dalle teorie di Kant e Rousseau, dal pensare tutto bianco o nero, buono o cattivo, affermando che l’uomo è un’unione delle due parti in perfetto (si spera) connubio ed equilibrio. In questo senso i due autori sono molto vicini alla visione religiosa del bene-male, particolarmente rappresentata nella cultura orientale: in quest’ultima i principi
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